storia del vino

A tutti noi, appassionati di vino, piace stappare una bottiglia – in compagnia o in perfetta solitudine – e gustare quella magnifica essenza che scende dalla bottiglia inebriandoci da subito col suo profumo.

Ci piace guardare i riflessi colorati o il danzare delle bollicine attraverso il bicchiere, ma ci chiediamo come possa accadere questo miracolo millenario? Possiamo iniziare con l’immaginarci all’interno di una vigna, attorniati da una miriade di grappoli d’uva che crescono, maturando, da una pianta perenne rampicante, chiamata vite e denominata Vitis vinifera.


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Storia della vite e del vino

La più antica testimonianza della presenza della vite coltivata è rappresentata da ritrovamenti di reperti inerenti la lavorazione del vino in Mesopotamia, intorno al 3500-3100 a.C. In epoche successive, grazie alle migrazioni delle popolazioni, la coltivazione si è spostata da una parte verso la Grecia e il bacino del Mediterraneo e in successione verso l’Italia meridionale dove, attraverso la colonizzazione dei Greci e poi degli Etruschi e, soprattutto dei Romani, si è profusa verso la Francia e la Spagna.

Dall’altra parte la diffusione della vite è avvenuta per via continentale raggiungendo il Caucaso e le terre attraversate dai fiumi Reno e Danubio. I primi ritrovamenti a testimonianza della lavorazione di queste uve li troviamo all’Isola del Giglio con primitivi vasconi atti alla pigiatura dell’uva e la vinificazione. Ma, anche, anfore per contenere e trasportare il fino o, ancora, monete raffiguranti soggetti legati a questa bevanda che era mitologicamente legata a figure divine quali Bacco tra i Romani e Dioniso per i Greci.

I primi a descrivere nei propri scritti le caratteristiche, le tipologie delle viti e a classificare i vini furono Plinio, Columella, Galeno e Strabone. Ma il vino non era considerato solo una bevanda che rallegrava spirito e corpo ma, veniva anche somministrato come farmaco. Una sorta di panacea di tutte le malattie, come riferiscono le documentazioni della Scuola Salernitana.

La religione cristiana e i monaci benedettini contribuirono enormemente alla diffusione e all’uso, descritto anche più volte nei Vangeli, entrando nella vita quotidiana e creando, tra i monaci, la figura dei moderni vignaioli. Nelle epoche più recenti vite e vino si coniugarono sempre più anche attraverso la diffusione dell’arte, sia stata essa religiosa o aristocratica, attraverso espressioni nel canto e nel teatro, nella scultura e nella pittura.

Ancora oggi, in molti musei, possiamo ammirare capolavori dell’arte raffiguranti scene rappresentanti la cultura del vino e della vite e difficilmente possiamo credere che tutto ciò non potesse accadere.

Le tipologie di vitigni

Tipologia di vitigno

Oggi la definizione dei vitigni assume, in conseguenza delle enormi capacità di ricerca, confini sempre più fugaci. Se la storia ci insegna che la definizione di vitigno autoctono è da attribuirsi ad esemplari presenti in un areale ben definito e alloctono per quelli che si erano evoluti in luoghi diversi dalla sua nascita (chiamato anche internazionale), oggi stiamo progressivamente passando a definizioni più mirate e corrette, secondo le quali – partendo dal presupposto ormai certo che la vite ha origine in Mesopotamia – solo quei vitigni provenienti da quella zona possono essere definiti autoctoni, mentre tutti gli altri vengono definiti tradizionali o storici.

Col termine tradizionale o storico si intende quella tipologia di vitigno che, pur provenendo da altre zone d’origine, ha assunto un connotato legato alle tradizioni grazie alla lunga presenza, utilizzo e lavorazione nel nuovo territorio. In merito a tutto ciò la definizione, quindi, assume una più corretta denominazione legata al territorio.

In Italia i vitigni tradizionali possono essere, per esempio, il Nebbiolo in Piemonte, il Teroldego nel Trentino, la Garganera nel Veneto e il Lambrusco nell’Emilia, per quanto riguarda il Nord. Nel Centro e al Sud troviamo il Sangiovese in Toscana, il Verdicchio nelle Marche, l’Aglianico in Campania, il Nero d’Avola in Sicilia e il Cannonau in Sardegna.

Questo per dare una sommaria indicazione su alcuni tra i più conosciuti tra le circa 350 varietà – tutte catalogate e codificate – presenti nella nostra nazione. E l’elenco è in continuo aggiornamento grazie, soprattutto, al ripristino di vecchie coltivazioni dismesse durante lo sviluppo industriale degli scorsi anni.


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Recentemente la Fondazione Mach, una delle principali scuole enologiche (un tempo Istituto Agrario di San Michele all’Adige) ha messo a disposizione dei tecnici uno studio sui vitigni tradizionali, che negli ultimi anni erano stati abbandonati e poco utilizzati, proprio per consentire il recupero di alcune tipicità che si sono rivelate di altissimo valore e qualità.

Tra i vitigni definiti internazionali, invece, possiamo dire che quelli più conosciuti e utilizzati sono – ovviamente – i francesi come Chardonnay, Pinot (nelle versioni Bianco, Grigio e Nero), Sauvignon, Merlot, Cabernet Franc e Cabernet Souvignon, mentre dalla Germania ci arrivano il Riesling e il Müller-Thurgau che hanno saputo perfettamente adattarsi al clima e alle diverse tipologie di terreno italiani.

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