Potare la vite, metodo a guyot e cordone speronato

Avventurandosi in questi primi mesi dell’anno, anche solo per una semplice scampagnata, tra le campagne sarà capitato un po’ a tutti di imbattersi nel fervido lavoro della potatura della vite, forse l’attività più impegnativa per il viticoltore.

La potatura della vite, così come per la maggior parte delle piante da frutto, ha l’obiettivo di migliorarne la produzione sia dal punto di vista qualitativo che da quello quantitativo assicurando, nello stesso tempo, alla pianta il corretto equilibrio vegetativo. Nella vite dobbiamo fare attenzione a due differenti aspetti della pianta, comunemente chiamati “capi a legno”, ovvero quelli che indicano i tralci che non producono frutti e “capi a frutto” che, al contrario, sono coloro che producono il grappolo di uva.

La difficoltà è che non esiste una netta distinzione tra le gemme che daranno germogli a frutto e a legno così come non esiste una distinzione tra i due differenti capi. Le condizioni climatiche della stagione primaverile, poi, decide quale sia la maggiore o minore propensione delle diverse gemme, allocate dalla base all’estremità del tralcio, a produrre germogli a frutto ed è qui che influisce l’abilità del potatore, determinante anche sulla longevità della vite stessa.


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La potatura della vite ha inizio allorché l’intero vigneto ha perso tutto il fogliame, attività che solitamente si concentra sul finire dell’inverno, nei primi mesi dell’anno. L’intensità dell’intervento del potatore è proporzionale alla vigorosità del vigneto. Perciò si interverrà debolmente limitando il taglio nei casi di un vigneto forte e, al contrario, si interverrà maggiormente nei casi di un vigneto ancora debole.

In entrambi i casi, però, è fondamentale assicurare ai tralci una corretta esposizione, sia per luminosità che per aerazione. Questa operazione deve essere posticipata in quelle zone particolarmente fredde e soggette a gelate e alla potatura invernale si aggiunge una estiva, detta “potatura a verde”, che in presenza di un sistema di allevamento a spalliera è possibile meccanizzare.

Nella potatura vengono eliminati tutti i tralci lasciando solo quello più forte e vigoroso che, opportunamente piegato e legato, viene accorciato in modo da lasciare delle 7 alle 9 gemme in media, in funzione dell’età della pianta. Questo unico tralcio avrà il compito di produrre l’uva per il nuovo raccolto.

Il potatore dovrà, oltre al capo al frutto, lasciare più in basso nel tronco uno sperone con alcune gemme il cui tralcio diventerà il nuovo capo a frutto dell’anno seguente. Questo metodo di potatura si chiama a guyot semplice, mentre se si lasciano due capi a frutto il metodo assume il nome di guyot doppio. In questo caso i due capi possono essere posti in posizioni diametralmente opposte (guyot doppio bilaterale) oppure nella stessa direzione ma ad altezze differenti (guyot doppio sovrapposto).

Differente è il metodo a cordone speronato che prevede legature opportune che fanno sì che si imponga alla vite una crescita orizzontale, parallela al suolo. In questo caso al tralcio vengono lasciati dai 3 ai 5 speroni consecutivi, opportunamente distanziati con mediamente 3 gemme ognuno per garantire che almeno una di esse sopravviva ad eventuali gelate primaverili.

Entrambi i metodi hanno pregi e difetti; il metodo guyot garantisce un più lento invecchiamento della pianta, con maggiore resa ma, al contempo, richiede maggiore cura e manutenzione, in particolare per le legature, mentre col metodo a cordone speronato l’intervento di potatura è molto più semplice.

Oggi, con la tecnologia al nostro servizio, l’utilizzo delle nuove forbici pneumatiche oltre a velocizzare l’operazione della potatura garantiscono un maggior confort operativo agli addetti alla potatura, cosa anche questa da non sottovalutare.

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