Il rito della pigiatura è un piacevole ricordo dell’infanzia, di chi è ormai ha raggiunto una certa età. Ancora oggi capita di vedere questo rito trasformato in momento di gioia nelle varie feste contadine dedicate al vino.
Gioia dovuta dal fatto che questo momento, anche di condivisione, tempo fa seguiva il duro lavoro della vendemmia, dove le uve, risultato di un’intera stagione, venivano riversate in vasche, dopo essere state trasportate dagli uomini con ampie ceste. Nelle vasche ragazze con le gonne al ginocchio, iniziavano il processo della pigiatura a piedi nudi con l’intento di rompere gli acini facendo fuoriuscire il succo che, raccolto in vasche dopo questa spremitura dell’uva, iniziava il processo di fermentazione.
Le giornate, intanto si concludevano con una grande festa e tavole imbandite di succulenti pietanze.
Differenza tra pigiatura e pressatura
Oggi tutto questo avviene solo nelle feste contadine, mentre la vera e propria lavorazione delle uve avviene meccanicamente, perdendo si di poesia ma acquistando molto in termini di sicurezza, igiene e risparmio di tempo.
In cantina si procede alla lavorazione dell’uva per ottenere il mosto. Si separano le componenti solide, a seconda del risultato che si vuole ottenere, attraverso la pigia diraspatura o diraspa pigiatura.
Per capire la differenza tra pigiatura e pressatura dell’uva è importante sapere che la pigiatura è quell’operazione necessaria per far sì che gli acini si rompano permettendo la fuoriuscita del succo. La massima attenzione va per fare in modo che non si lacerino le parti solide, che potrebbero conferire al vino un sapore acidulo.
Qualora si voglia produrre vino bianco partendo da bacche rosse è necessaria la pigiatura. Questa operazione evita che i tannini, le pectine, le resine e la cellulosa, tutte sostanze contenute nel raspo, vadano a conferire caratteristiche negative al vino.
Successivamente, attraverso l’uso di presse pneumatiche o idrauliche, si provvede alla formazione di quella soluzione idrozuccherina chiamata mosto, che si ottiene schiacciando o comprimendo gli acini d’uva. In questa fase si deve cercare di far confluire la minor percentuale di ossigeno in modo da preservare maggiormente i componenti aromatici che caratterizzeranno il vino.
Ad una pressatura soffice, quindi senza rompere i vinaccioli e senza schiacciare i raspi, avremo come risultato un vino di qualità più elevata. Il mosto ottenuto è, quindi, composto da sostanze quali acqua (70-85%), zuccheri (glucosio e fruttosio al 15-20% e saccarosio allo 0,5%), pectine, acidi (con un valore di pH 2,8-3,2), coloranti, polifenoli, flavoni, antociani e tannini. Troviamo anche sostanze azotate per alimentare i lieviti, sostanze aromatiche, enzimi, vitamine e sostanze naturali. Orientativamente d 100 kg di uva fresca si ottengono 65-70 kg di mosto fiore, 20 kg di mosto ottenuto dalla seconda spremitura, 12 kg di vinacce e 3 kg di raspi.
Cos’è la diraspatura
Appena l’uva arriva in cantina l’uva viene sottoposta al processo di diraspatura, ovvero la separazione degli acini dai raspi, favorendo così la fuoriuscita del mosto prima di iniziare la pigiatura vera e propria. La diraspatura si effettua utilizzando delle apposite macchine enoliche chiamate, appunto, diraspatrici, che sfruttano un cilindro forato con una serie di pale che consente la separazione dei raspi sfruttando la forza centrifuga.
Tale operazione, che va svolta con assoluta delicatezza per non compromettere la qualità delle uve, offre dei vantaggi quali risparmio di spazio, visto che i raspi arrivano a rappresentare fino al 30% del volume del grappolo, una miglior qualità del vino, privato di alcuni tannini non nobili, potassio e altre sostanze contenute nei raspi, della gradazione alcolica e del colore del vino, anch’essi influenti sul risultato finale.
C’è da sottolineare, però, che in alcuni casi non conviene effettuare la diraspatura perché la presenza dei raspi può avere anche una serie di aspetti positivi, come una miglior regolazione termica dei mosti, grazie all’acqua contenuta nei raspi, oppure una miglior aerazione del mosto, grazie all’ossigeno contenuto che favorisce sia la macerazione che la fermentazione.
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